IVECO TurboStar: Quando un camion diventa mito

person Pubblicato da: Max list In: Road Stars Trucks comment Commento: 0
IVECO TurboStar: Quando un camion diventa mito

Tra gli appassionati di camion c’è un automezzo che ha un posto speciale nei ricordi e nelle leggende metropolitane, così celebrato da essere quasi paragonabile alla Lancia Delta Integrale. Simbolo del trasporto su gomma italiano degli anni ’80, scopriamo insieme perchè questo camion ancora oggi viene considerato “Il Re della Strada”.
Parliamo di un mezzo di oltre 30 anni, eppure per i camionisti vecchia scuola e gli appassionati del settore rimane il migliore, il più desiderato e ricercato per fare lo "sborone" ai raduni e non solo.
Ma prima un piccolo accenno di storia:
Il TurboStar, presentato nel 1984 come erede della precedente serie “Iveco Turbo” o “190”, rappresentava il primo progetto interamente IVECO per un autocarro adatto alle lunghe tratte. Infatti l’attuale corporazione era all’epoca agli albori, nata solo pochi anni prima, nel 1975, dalla fusione di cinque società legate ai mezzi pesanti (Fiat Veicoli Industriali, Magirus-Deutz, UNIC, OM e Lancia Veicoli Speciali). Ecco quindi la  Industrial VEhicles COrporation, o IVECO.

Partendo dal precedente “190”, i modelli si divisero nella serie medio/piccola “TurboTech”, e in quella medio/grande che, modificato e allargato per le dimensioni richieste dalla categoria, divenne il “nuovo” TurboStar.
Esso venne commercializzato nelle versioni “190-33″ e “190-42″, il primo equipaggiato da un 6 cilindri in linea “entry level” e l’altro con la prima versione del mitico V8 per cui viene ancora ricordato questo camion. Tre anni più tardi, il propulsore di base venne aggiornato: il “33” divenne “36” con una potenza di 360 cv fino al 1990, quando fu portato a 377 cv (mantenendo la denominazione “-36”). Nel 1989 invece venne invece introdotta la nuova versione del V8, prendendo la denominazione “190-48“, con intercooler, da 480 cv. La versione finale “Special” comprendeva un aggiornamento estetico, composto da carenature, minigonne e spoiler.


I cambi erano due, entrambi manuali, ma diversi nella filosofia e nell’utilizzo: il primo era il classico ZF ECOSPLIT a 16 marce sincronizzate: questo cambio resiste ancora oggi sui modelli IVECO più recenti, con l’aggiunta però del Servoshift che permette di cambiare le marce più agilmente con l’ausilio di un attuatore pneumatico. L’altra trasmissione invece merita qualche parola in più:  parliamo del mitico Eaton-Fuller.



Sul Turbostar era un 13 marce a innesto rapido, non sincronizzato. Si avete letto bene, non sincronizzato, come la vecchia 500. Lui era allora, per molti, il crocevia fondamentale di ogni autista che si rispetti. Riuscire a manovrarlo senza intoppi era per “quelli buoni a portare il camion”. Ho sentito storie di gente che si è messa a piangere, esasperato dalla difficoltà di utilizzo. D’altro canto c’erano alcuni fenomeni che – si dice – erano in grado di passare tra le varie marce senza nemmeno usare la frizione. L’errore non era permesso, sbagliare il tempismo o il passaggio tra le marce significava solo una cosa: fermarsi e ripartire dalla prima. Azionamento complesso a parte, il Fuller garantiva un ampio range di rapporti che si adattava ai molteplici usi ed esigenze: era veloce nei cambi marcia (se eseguiti bene), con una caduta di giri sempre ottimale, e rapportato perfettamente alla coppia del motore, oltre ad essere robusto ed economico nella manutenzione se usato con testa. Infatti è l’antesignano nella filosofia costruttiva del successivo “Eurotronic”, l’automatizzato elettroattuato che oggi realizza la ZF, dove si utilizzano due alberi secondari e uno primario.


Il salto in avanti fatto in materia di qualità costruttiva rispetto alla serie precedente era notevole. Pur partendo da un modello più modesto, il risultato finale era in grado di soddisfare le esigenze degli autisti, regalando finalmente un prodotto Italico valido per il settore. L’azienda potè così iniziare ad accorciare la distanza tra i propri prodotti e quelli dei maggiori competitor stranieri, Scania e Volvo su tutti, che nel comfort e nelle dotazioni della cabina racchiudevano la chiave del loro successo commerciale. Questo gap venne ulteriormente ridotto successivamente più con lo Stralis che con l’Eurotech, seppur mantenendo di base invariata l’impostazione costruttiva della cabina.


Dato che fu prodotto in più di 50 mila esemplari, il TurboStar è uno dei best seller di sempre di Iveco. La serie successiva invece, inaugurava il nuovo corso stilistico ideato da ItalDesign per le cabine IVECO, fino all’avvento del nuovo Stralis nel 2002. L’Eurostar, erede diretto del celebre predecessore, manteneva come motorizzazione di punta il mitico V8, portato fino a 520 cavalli. Quando questi sparì dai listini successivamente, lasciò un’eredità mancata che ancora oggi brucia negli animi degli appassionati, un po’ come quando l’Alfa Romeo ha perso la trazione posteriore: non era più la stessa cosa. Questo rappresenta una ferita aperta ancora oggi soprattutto pensando che la rivale di sempre, la Scania, mantiene ancora in produzione il suo ormai leggendario V8.


Questo scritta posta sotto il finestrino, per un appassionato di camion è come il logo 8.32 su una Thema, o quello Turbo I.E. su una Uno, cambia tutto. Lei differenzia un TurboStar da un altro normale, perché è il massimo, è il mitico “48”.

Perché allora è così speciale?


Le proverbiali prestazioni che possedeva, pur essendo un mezzo pesante, gli hanno fatto guadagnare il titolo di “RE della Strada”, “il 48” appunto, un ineluttabile scalatore dei valichi, in questo caso autostradali, come l’indimenticata Pirata sulla sua Bianchi. É importante poi ricordare che solo nel 1987 entrò in vigore il limitatore per i nuovi autocarri immatricolati, perciò non era difficile vedere, nel caso del TurboStar, TIR lanciati a 100-110 tranquillamente. Unico problema sono i freni a tamburo su tutte e quattro le ruote, quindi in discesa si deve andare con "piede cauto".



Il TurboStar, morto senza lasciare eredi degni, ancora oggi circola spesso nelle zone rurali o di coltivazione, dove viene impiegato per carichi gravosi (ad ignoranza diremmo tra noi). La sua semplicità nella manutenzione, le prestazioni e soprattutto l’altezza da terra rispetto a quelli attuali lo rendono ancora adatto al lavoro. I camion moderni saranno anche green e eco-friendly, ma tra le varie sofisticazioni dei motori Euro 6 e l’AdBlue, i problemi sono sempre in agguato se usati in modo maleducato. Il TurboStar invece, pur essendo sorpassato, è ancora amato proprio perché è come un vecchio arnese indistruttibile e sempre fedele, riparabile con un cacciavite e del fil di ferro.



Capitolo a parte, le modifiche:
A volte anche il meglio può dare di più. Il TurboStar è stato forse uno dei primi interpreti, in Italia almeno, di tuning sia estetico che prestazionale applicato ai mezzi pesanti, tant’è che la moda delle mille lucine è sopravvissuta anche oggi, abbinate a maestose areografie che danno un tocco personale dell’autista al proprio camion. Ancora oggi, come allora, sul V8 Iveco ci si mette mano eccome e le possibilità sono infinite: dagli alberi a camme riprofilati al cambiare l’anticipo agendo sulla pompa gasolio fino a potenziare il cuore della potenza del V8, il TURBO. C’era chi addirittura si affidava a quelle provenienti dalle versioni “marine”.
A parte le elaborazioni per la strada, le applicazioni di questi motori trovano terreno fertile nelle competizioni di Tractor Pulling (cliccate sul link per un articolo del mega direttore dedicato a questo fantastico sport motoristico), che si tratti di un mezzo completo o di un prototipo costruito da zero.



Il TurboStar non era solo un camion, era qualcosa di più. Anche per i bambini di allora era un mito, i ricordi dei viaggi in compagnia del babbo camionaro o i racconti dei nonni, zii o cugggini che lo guidavano, hanno creato il fenomeno di cui lui è protagonista.  Addirittura passava in TV in “Due assi per un Turbo”, una miniserie trasmessa sulla Rai a fine anni ottanta, (e quando sennò?), dove il protagonista era “Gambero Rosso”, un 190-42 guidato dal mitico Philippe Leroy mentre affrontatava mille avventure lungo lo stivale. Il Turbo Star era il vero Stallone Italiano, e Over the Top muto.



Concludendo, abbiamo analizzato tutti questi fattori che hanno reso il TurboStar un vero Eroe della Classe Operaia, termine che di solito viene associato alle auto nei paesi anglofoni, soprattutto alle Ford Sierra e Escort Cosworth. Qui non si tratta di auto da corsa nate per guadagnarsi la gloria tra i cordoli o gli sterrati, ma di un camion pensato per diventare un mulo su ruote ma che si è guadagnato il rispetto sul campo, rimboccandosi le maniche e facendo vedere a tutti di che pasta era fatto, ed è questo forse il motivo per cui è veramente così osannato. Pur essendo 120 quintali di ferro plasmati a forma di camion, pareva ci mettesse tutto il cuore nell’affiancare gli autisti sulle strade del mondo, guadagnandosi il rispetto di tutta la prima corsia dell’autostrada.

Commenti

Nessun commento in questo momento!

Domenica Lunedi Martedì Mercoledì Giovedi Venerdì Sabato Gennaio Febbraio Marzo Aprile Può Giugno luglio Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre
Product added to compare.